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DIAMO IL BENVENUTO AL ROSSO PRIMUS!

Dopo mesi di ricerca e perfezionamento, siamo entusiasti di presentarti il Rosso Primus, un panetto unico che porta in tavola i sapori tipici del Mediterraneo.
Preparato con il nostro impasto semi-integrale di Primus Classic, Rosso Primus unisce pomodori secchi e spezie aromatiche per un gusto che evoca la fragranza di una pizza appena sfornata.
Cosa rende speciale il Rosso Primus?
Un mix di pomodori secchi e origano siciliani, basilico e polvere di pomodoro, per un pane che profuma di sole, di pizza e di focaccia coi pomodori.
Un panetto ideale da gustare da solo, abbinato con della ricotta fresca o come base per le tue creazioni più fantasiose.
Lasciati conquistare dal Rosso Primus!

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LE MATERIE PRIME – AVENA

L’avena è un cereale originario dell’Asia Minore addomesticato dall’uomo tra i 4500 e i 3000 anni fa; la sua coltivazione è oggi diffusa in tutto il mondo.

I popoli germanici e scozzesi basavano la propria alimentazione su questo cereale, in grado di superare i climi rigidi del nord. In tali zone il suo consumo è ancora molto diffuso, soprattutto per la preparazione di piatti tradizionali come il porridge.

In Italia fino a pochi anni fa l’avena era destinata in prevalenza all’alimentazione degli sportivi di alto livello; oggi i suoi benefici sono ben noti e la sua presenza nei prodotti alimentari è sempre più frequente.

La pianta dell’avena presenta un fusto cavo e sottile con diverse ramificazioni, foglie di forma allungata e spighe che producono le cariossidi. Questi ultimi sono la parte della pianta utilizzata nell’alimentazione umana, solitamente privata del suo involucro (decorticata) e ridotta in farina o in fiocchi. A differenza di altri cereali, anche quando viene lavorata l’avena mantiene il germe e la crusca, che racchiudono la maggior parte dei nutrienti.

A livello nutrizionale i chicchi di avena sono composti per la maggior parte da amidi e carboidrati, ma rappresentano anche un’ottima fonte di proteine vegetali e sostanze grasse, tra cui l’essenziale acido linoleico.

Trattandosi di una fonte di carboidrati a lenta digestione e ricca di fibre, è in grado di fornire energia a lungo termine senza causare picchi insulinici.

Grazie alla sua altissima capacità di assorbire acqua e alla presenza di molti oligoelementi benefici (come il betaglucano, fibra solubile localizzata soprattutto nella cuticola del chicco dell’avena, e la pectina), abbassa in tempi brevi il colesterolo “dannoso” (LDL), senza influenzare quello “buono” (HDL). È stato dimostrato che 3 g al giorno di betaglucano (contenuti in 60 g di avena) riescono ad abbassare il picco glicemico dopo il pasto, producendo inoltre effetti metabolici nelle persone affette da diabete di tipo 2; inoltre sotto il profilo cardiovascolare questi 3 g abbassano i trigliceridi fino al 12% e aumentano le HDL (lipoproteine benefiche che smaltiscono le LDL in eccesso) fino al 7,5%.
Studi scientifici accertati dimostrano che il consumo giornaliero di cereali integrali (nello specifico, almeno 30 g al giorno) aiuta a contrastare obesità, malattie cardiovascolari e diabete. (cit. dal libro “Nutri il tuo Cuore” del Dott. Davide Terranova)

L’avena contiene vitamina A, le vitamine del gruppo B, oltre a molti sali minerali importantissimi per l’organismo, come fosforo, ferro, calcio, zinco e potassio.

Particolarmente interessante è l’ottimo valore biologico delle sue proteine e la sua ricchezza in aminoacidi essenziali; in particolare vanta un buon contenuto in lisina, nettamente superiore rispetto agli altri cereali.

Abbiamo scelto di inserire l’avena tra gli ingredienti di Primus perché vogliamo dare l’opportunità ai nostri clienti di alimentarsi in modo vario e salutare.

L’avena integrale e tanti altri ingredienti presenti in Primus, non vengono assunti facilmente in una normale alimentazione!

Consumati nel Primus risultano comodi e biodisponibili perché fermentati dalle nostre ormai note fermentazioni primordiali.

 

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LE MATERIE PRIME – SENATORE CAPPELLI

Il grano duro Senatore Cappelli è uno degli ingredienti contenuti nei prodotti Primus.
Sebbene la forza di Primus risieda principalmente nelle sue “fermentazioni primordiali” che demoliscono efficacemente i suoi vari componenti, un’ottima base di partenza è fondamentale per far sì che possa vantare tutte le altre caratteristiche che già conosciamo.

Primus, come ormai saprete, è composto da una grande varietà di cereali e legumi. Tra i cereali spiccano i grani tradizionali tra i quali il Cappelli. Il Senatore Cappelli, grano molto amato per le sue proprietà nutrizionali e per il suo ricco sapore, sebbene sia nato nel 1915, viene considerato tutt’oggi un grano antico, essendo stato selezionato prima che venissero introdotte le moderne tecniche di irradiazione e le conseguenti modificazioni genetiche.

Una volta le coltivazioni agricole erano molto più semplici e artigianali ma negli ultimi decenni, per rispondere al continuo desiderio di aumento della produzione, si è visto necessario creare produzioni “più intensive” per qualunque prodotto alimentare, animale o vegetale. La lavorazione del grano è stata quindi stravolta, favorendo la diffusione di grani più bassi e con più glutine per aumentarne la resa. Questo tipo di “nuova agricoltura” è stata favorita enormemente dal basso prezzo dei carburanti e dei fertilizzanti durante la seconda metà del secolo scorso.

La farina di grano duro Cappelli vanta, rispetto ai grani moderni, una maggiore quantità di aminoacidi, vitamine e sali minerali. Questi ultimi, presenti per proprietà transitiva anche in Primus (zinco, molibdeno, manganese), sono particolarmente concentrati grazie alla profondità delle radici dei grani antichi o tradizionali, le quali riescono ad assorbire maggiori minerali dal terreno. In più, le lunghe radici aiutano la pianta a sfruttare la poca acqua che è presente nel terreno, specie in periodi di grave siccità.

Le spighe del Senatore Cappelli – e così anche quelle degli altri cereali antichi – presentano un’altezza superiore alle erbe infestanti che, per questo motivo, non riescono a creare eccessivi danni al grano. Inoltre, non essendo necessari trattamenti chimici diserbanti, i grani antichi o tradizionali come il Cappelli si prestano perfettamente alla coltivazione biologica.

Un’altra particolarità dei grani antichi è il loro profumo aromatico e il loro sapore intenso, che sono rimasti inalterati nel tempo e che costituiscono una caratteristica ormai persa nei grani moderni. Ogni lotto di farina presenta piccole differenze di colore e sapore, date appunto dalla coltivazione non standard e non intensiva di questi cereali, che fa riscoprire quel gusto antico che le varietà più recenti ci hanno fatto dimenticare.

Ovviamente la resa produttiva di questi cereali è più bassa rispetto a quella dei cereali moderni, come se paragonassimo un allevamento a pascolo a uno intensivo e così via. Tutelare la biodiversità, rispettare il ciclo di vita dell’alimento e, nel caso degli allevamenti, dell’animale, comporta un prezzo finale più alto, a fronte di prodotti più genuini e a minor impatto ambientale.

La coltivazione di questi grani risulta quindi fondamentale per proteggere la biodiversità, ridurre l’utilizzo di agenti chimici e tutelare la nostra salute.

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ANTICO COME IL PANE

“Buono come il pane”.
“Dire pane al pane e vino al vino”
“Rendere pan per focaccia”
Sono soltanto pochi esempi di detti che tutti noi avremo incontrato almeno una volta nella vita, sufficienti a dimostrare quanto il pane sia radicato profondamente nel nostro immaginario simbolico e culturale. Si tratti del pane contadino che consumavano i nostri avi, dell’immancabile panino farcito consumato in gita scolastica da piccoli, o dei prodotti innovativi e salutari che sempre più numerosi si stanno affacciando sul mercato, questo alimento caratterizza la quotidianità di ciascuno di noi sin dall’infanzia.

Una preparazione semplice, ma che va oltre la lavorazione e cottura di un impasto di acqua, farina e lievito.  La ricchezza che porta con sé è ben altra, fatta di memorie, valori simbolici, tradizioni che sfamano lo spirito così come l’alimento nutre il corpo.

E tale ricchezza non caratterizza soltanto l’esperienza personale di ciascuno di noi, ma l’umanità intera: tecniche di panificazione sono attestate già dal Neolitico, e furono gli egizi ad introdurre la lievitazione. Pare siano stati alcuni prigionieri di guerra greci ad insegnare le tecniche di panificazione ai Romani, mentre i primi cristiani utilizzavano il pane consacrato come un talismano dalle virtù curative.  Nel suo viaggio fino a noi il pane ha dunque attraversato l’intera storia dell’umanità, mantenendo comunque quella centralità quasi sacra nella simbologia e nell’alimentazione delle culture che si affacciano sul mar Mediterraneo, plasmandone la comune identità e permettendo loro di identificarsi in quel codice alimentare che è la dieta mediterranea.

Il pane è semplicità e duro lavoro, umiltà e sacralità, condivisione e ricchezza allo stesso tempo. Per l’uomo ha sempre incarnato il dominio sulla natura ma anche il rispetto di essa, la capacità di adeguarsi ai suoi ritmi ed ai suoi cicli traendone il meglio per vincere la fame. Nella civiltà contadina il pane rappresentava una sicurezza, con tutta quella serie di riti ancestrali volti ad esorcizzare i timori di una vita fatta di precarietà.

Il pane aveva un’importanza fondamentale nel consumo comunitario del pasto: basti pensare all’importanza del gesto iconico di spezzare il pane per offrirlo agli altri, con le suggestioni religiose che ciò risveglia nella nostra mente. Poteva trasformarsi da cibo quotidiano in offerta votiva, dono o talismano. Veniva usato come merce di scambio, e con le sue diverse tipologie era anche un’ostentazione di appartenenza ad un determinato ceto sociale.

Il pane era, ed è, strettamente legato alla religione, tanto che ancora oggi in molti luoghi vi è l’usanza di non gettarlo mai via, retaggio della concezione sacrale di questo alimento.
Gli ingredienti di ciascuna tipologia di pane si distinguono da luogo a luogo, da stagione a stagione. I popoli si identificano con il proprio pane, ed anche la letteratura ci fornisce un celebre esempio: Dante Alighieri che, riferendosi ai suoi giorni trascorsi in esilio, scrive “come sa di sale il pane altrui” sancendo con queste parole la nostalgia per la Toscana ed il suo pane privo di sale.

L’uomo instaura legami profondi con il proprio cibo. Non ci nutriamo semplicemente per saziare la fame, anzi: come ci insegnano gli antropologi, ciò che è primariamente biologico – nascere, riprodursi, nutrirsi, morire – è ciò che è maggiormente imbevuto di cultura, e quindi di norme, valori, tabù, riti.
Quante suggestioni e quale retaggio si celano dietro un gesto semplice e quotidiano come quello di affettare una pagnotta!

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LE TRE LIEVITAZIONI

Il lievito di birra fa sì che gli zuccheri presenti naturalmente nella farina siano trasformati in alcool e anidride carbonica. Questi gas gonfiano gli impasti, che restano lievitati e leggeri se il pane è ricco di glutine.
Questa è la lievitazione più semplice e controllabile che ci sia. Tutti i fornai fermentano facendo lievitare gli impasti, ma alcuni sono anche in grado di usare il lievito naturale (o lievito madre spontaneo) diffuso soprattutto nel Sud Italia.
Il nostro obiettivo era quello di perfezionare gli impasti, senza accontentarci della trasformazione degli zuccheri in gas. Il lievito naturale, come il lievito di birra, fa gonfiare l’impasto, ma lo fa rispettando anch’esso la struttura proteica del glutine (che tiene sollevato il pane).
Il lievito naturale, conosciuto anche come pasta madre, possiamo considerarlo un vero e proprio “organismo vivente“ composto da microorganismi amici. Deve essere infatti nutrito e “rinfrescato” regolarmente, poiché è composto da diverse famiglie di lieviti e batteri buoni, come il Lactobacillus. Inoltre il lievito madre risulta anche più tollerabile per chi ha problemi gastrointestinali.
Le fermentazioni primordiali sono diverse: la nostra “madre primordiale” è stata infatti addestrata a demolire non soltanto lo zucchero ma anche la struttura stessa delle proteine, i granuli di amido e le fibre. Data l’intensa demolizione abbiamo dovuto trovare un modo per tenere “sollevato” l’impasto. Ci siamo quindi ispirati ai produttori di pane senza glutine che a questo scopo usano anche lo Psyllium. Questa è la fermentazione primordiale, che abbiamo deciso di chiamare così perché selvaggia ed ispirata a quella che si verifica da sempre in natura per demolire (digerire) la materia organica.

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LE MATERIE PRIME – PSYLLIUM

“Ma perché utilizzate lo Psyllium?”

Questa è una domanda che ci viene posta spesso, soprattutto per via delle proprietà lassative che questo ingrediente apporta, se assunto in determinate quantità.
Primus aiuta il transito intestinale, certo, ma ciò non è in alcun modo legato alla presenza dello Psyllium.

L’alta predigestione di ogni suo ingrediente e il veloce transito nel sistema digerente dei nostri prodotti sono ottenuti grazie alla grande quantità di fibre contenute in esso e, soprattutto, all’intensa fermentazione primordiale che lo caratterizza.

“E allora, a cosa serve lo Psyllium nel Primus?”

Lo Psyllium – nelle limitatissime dosi che utilizziamo – non ha alcuna proprietà lassativa, come alcuni sono stati portati a dedurre. Esso è un polisaccaride che, a contatto con l’acqua, forma una “massa gelatinosa” il cui scopo è quello di sostituirsi al glutine quando le proteine di quest’ultimo vengono demolite dalla fermentazione primordiale: è proprio lo Psyllium che aiuta a mantenere Primus “sollevato e leggero” perché ingloba all’interno della massa gelatinosa i gas di fermentazione.
Il glutine infatti, nelle lievitazioni a lievito di birra e a lievito naturale, riveste il ruolo di “impalcatura” dell’impasto ma nel Primus viene demolito quasi totalmente dalla fermentazione primordiale.

N.B. Primus non può essere certificato come Gluten Free. Dalle ultime analisi il residuo di glutine variava da un 0,01 % a un 1,5%, a seconda dei lotti.

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LE MATERIE PRIME – FARRO

Si potrebbe dire che Primus sia “nato” dal farro.

Nel nostro forno abbiamo sempre prodotto il pane di farro integrale. Le madri utilizzate per produrre questo particolare pane rispondevano molto più velocemente al farro rispetto alle farine normali. Giungevano a maturazione nella metà del tempo, producevano più acidità e l’impasto lievitava meglio. La pratica ci ha portato a comprendere ed apprezzare l’eccezionalità di questa materia prima.

Non a caso questo cereale viene utilizzato da migliaia di anni dall’uomo così com’è, senza modifiche. Sono molte le popolazioni che non rinunciano alla produzione di farro, nonostante esistano grani più produttivi.

Già prima di approdare all’intuizione di Primus, per motivi di sostenibilità ambientale eravamo convinti che il pane avesse un’efficienza energetica eccezionale per l’uomo, poiché era in grado di fargli fare un salto nella catena alimentare.

Per produrre 1 kg di carne vengono impiegati dai 15 ai 20 kg di cereali, per cui è facile intuire che nutrirsi direttamente di questi ultimi, limitando il consumo di alimenti di origine animale, è un modo molto efficace di ridurre l’impronta ecologica e risparmiare risorse economiche, da investire magari in maggiore qualità per alimenti più sani.

Con molta meno terra si produce infatti una grande quantità di cereale rispetto a quella necessaria per ottenere uova, latte, carne. Questa constatazione ci ha portato a ricercare caratteristiche di efficienza non soltanto ecologica, ma anche proteica, per far concorrenza buona ad altri alimenti più impattanti e meno efficienti.

Ma c’era qualcosa che il pane possedeva in minore quantità rispetto alla carne: il contenuto proteico. Determinati a non accontentarci del normale pane di farro, abbiamo quindi deciso di creare un pane altamente proteico, quanto una bistecca. Abbiamo aggiunto le proteine dei cereali e dei legumi, per raggiungere un tenore proteico più alto (16/17%).

Perfezionamenti successivi hanno poi portato al Primus che conosciamo.

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L’IMPATTO AMBIENTALE DEL RISCALDAMENTO DOMESTICO

In un periodo caratterizzato da una sempre maggiore attenzione alla salubrità dell’aria che respiriamo e degli ambienti in cui viviamo sono tanti gli aspetti da considerare per valutare l’impatto che i bisogni quotidiani che caratterizzano la nostra vita hanno sull’ambiente e sulla natura.

Uno tra questi è quello che potremmo definire “inquinamento fatto in casa”, spesso causato da abitudini che si tende a non tenere in considerazione proprio perché fanno parte della nostra routine. Come, ad esempio, il riscaldamento domestico. A tal proposito uno studio di Life PrepAir, progetto della regione Emilia Romagna su co-finanziamento europeo, ha dimostrato come anche quelle forme di riscaldamento considerate tradizionalmente meno impattanti e più pulite (stufe a legna e a pellet) abbiano in realtà una responsabilità non indifferente per quanto riguarda le polveri sottili e l’inquinamento atmosferico con i quali dobbiamo convivere. Pur essendo infatti utilizzati in percentuale minoritaria nelle case degli italiani, questi combustibili sono in realtà responsabili dell’inquinamento residenziale per oltre il 90%.

L’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) segnala che oltre la metà delle emissioni di “polveri sottilissime” deriva dal settore residenziale, e in particolare dalla combustione della legna. Occorre anche chiarire, però, che ciò è dovuto in gran parte all’utilizzo ancora largamente diffuso di stufe e dispositivi vecchi: quelli più recenti presentano livelli molto più bassi di emissione di sostanze nocive per la salute dell’uomo e della biosfera.

Una notevole responsabilità hanno anche le temperature eccessive sulle quali si attesta il riscaldamento domestico: dovremmo tutti imparare a riscaldare di meno gli ambienti in inverno (mantenendo la temperatura non oltre i 20 gradi), così come a utilizzare con moderazione il condizionatore d’estate.

Anche la mancanza di isolamento delle case gioca la sua parte: una casa senza cappotto termico è una casa più esposta alle oscillazioni della temperatura esterna con conseguente rischio di formazione di ponti termici, e dunque sarà tanto dispendioso per le nostre tasche quanto nocivo per l’ambiente riscaldarla d’inverno e rinfrescarla d’estate.

Cosa possiamo dunque fare nel nostro piccolo? Non si tratta certo di modifiche semplici da apportare alle nostre case, ma anche i piccoli cambiamenti fanno la differenza, nel limite delle possibilità di ognuno.

Annalisa Boni

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LA SVOLTA BIO DELLA DANIMARCA

Che i paesi nordici fossero molto attenti a tutto ciò che riguarda la sostenibilità e l’ambiente, già si sapeva.
Ma la Danimarca ha deciso di andare oltre: si è infatti posta l’obiettivo di passare all’agricoltura e all’allevamento biologici, rinunciando quindi all’uso di antibiotici e pesticidi.

L’iniziativa si muoverà su due fronti, sia dando un impulso alla trasformazione della modalità di coltivazione dei terreni, da tradizionale a biologica (attraverso il Danish Organic Action Plan 2020, piano in 67 punti), sia stimolando la domanda di prodotti bio e sostenibili.

Si partirà dal settore pubblico: tutti i terreni agricoli di proprietà statale saranno convertiti completamente alla nuova modalità. E sono previsti incentivi per i privati che decideranno di seguire l’esempio. Fondi consistenti verranno poi destinati alla ricerca sul settore. Il progetto non si limita al settore orto-frutticolo, ma anche all’allevamento: varie agenzie del settore bio verranno coinvolte e opereranno insieme a comuni, regioni e privati per avviare il cambiamento a livello locale.

Nelle scuole verranno introdotti programmi appositi per educare i ragazzi e spiegare loro i vantaggi dell’agricoltura biologica, mentre almeno il 60% dei prodotti forniti dalle mense scolastiche dovrà provenire da coltivazioni o allevamenti in linea con i nuovi dettami. E lo stesso varrà per le mense dei militari e del settore pubblico.

La conversione al biologico non può che portare benessere, tanto al consumatore quanto al produttore, tanto agli animali allevati quanto ai terreni, che non sarebbero più impoveriti da pratiche quali le monocolture o l’utilizzo eccessivo di pesticidi. I rischi di erosione del terreno, di inondazione o di siccità si ridurrebbero di molto e gli insetti, le piante e in generale l’habitat ne beneficerebbero moltissimo.

Un progetto ambizioso che, qualora dovesse giungere a compimento, renderebbe la Danimarca un paese pioniere e un esempio virtuoso da imitare.

Annalisa Boni

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UMAMI: ALLA SCOPERTA DEL “QUINTO GUSTO”

Il successo della cucina giapponese è dovuto al gusto umami che caratterizza anche il sapore di molti prodotti della migliore tradizione italiana.

Quando percepiamo un sapore entriamo in contatto con sensazioni corrispondenti a vari gusti: dolce, amaro, acido, salato e… umami.
Il termine umami venne codificato da un giapponese nel 1908. Egli, cercando la definizione per descrivere il sapore intenso di alimenti come il brodo cotto lungamente, i funghi secchi, i prodotti fermentati a lungo come il miso o il tempeth, scoprì che la demolizione delle loro proteine, portava all’isolamento dell’acido glutammico che, legandosi ad altre sostanze, conferiva “sapore intenso caratteristico e diverso in ogni alimento”.

Ecco perché gli alimenti fermentati a lungo assumono, con il trascorrere del tempo, sapori caratteristici e sempre più intensi. Pensate al prosciutto crudo stagionato 24 mesi, al Parmigiano Reggiano stagionato 36/60 mesi, ai funghi secchi, all’aceto balsamico tradizionale.
La cucina giapponese senza le salse atte a cucinarla o che accompagnano le sue pietanze, sarebbe totalmente insapore ed è chiara l’analogia di queste salse fermentate, con il parmigiano (solo se stravecchio) che fa risaltare il gusto dei piatti senza coprine il sapore caratteristico.

Nel Primus Pane si sviluppa un particolare e caratteristico umami che potrai scoprire anche tu.
Prova a farlo “stagionare” qualche giorno in più, oppure acquistalo nella confezione con conservabilità 22 giorni (15 giorni nel sacchetto più 7 giorni una volta aperto) consumandolo vicino alla scadenza sempre previa tostatura (per esaltarne al massimo il sapore e far evaporare l’alcool).