Abbiamo visto qui l’impatto negativo che la fast fashion ha in termini sociali ed ambientali. Purtroppo, è effettivamente innegabile la comodità di un sistema che produce capi simili a quelli dell’alta moda (è proprio per questo che la moda usa e getta è stata pensata) a prezzi decisamente più abbordabili. Inoltre oggi in quasi tutte le città sono presenti più catene che cambiano assortimento in tempi record, con continue promozioni per rendere appetibili i propri prodotti.
Come in molti altri aspetti, occorre rapportare l’apparente comodità con i retroscena che sono emersi nel corso degli ultimi anni, e per i quali vi rimandiamo all’articolo precedente. Sarebbe quindi saggio interrogarsi su quanto il prezzo basso e il ricambio frequente di questi prodotti siano in grado di compensare le gravi carenze etiche di questo sistema che coinvolge l’intero pianeta.
Le alternative, ovviamente, ci sono. E richiedono un po’ di tempo e impegno (magari anche economico) in più. Ma in un periodo in cui a farla da padroni sono la fretta ed il consumo ossessivo, riscoprire i valori della lentezza, dell’artigianalità e del fair trade potrebbe aiutarci a vincere quel senso di depressione ed ansia che, come è stato dimostrato da studi di psicologia, accompagna l’eccessiva importanza data ai valori materiali.
Ecco allora che tornano alla ribalta (neanche così timidamente, visto l’impulso avuto in questi ultimi anni) il vintage ed il second hand, la ricerca di pezzi interessanti rimessi quasi a nuovo nei mercatini, la modifica di capi che già si possiedono, magari con l’aiuto di una sarta. Ancora, l’artigianato ed il made in Italy, ovviamente dai prezzi non confrontabili con quelli degli indumenti della fast fashion ma che comunque non rappresentano automaticamente spese insostenibili.
Ci si può rivolgere al fair trade e ai brand etici e locali, che producono a breve raggio e i cui lavoratori sono tutelati e pagati equamente.
Certo, si tratta di un cambiamento che deve coinvolgere anche la mentalità e la quotidianità: comprare meno, ma meglio, prestando più attenzione a come verrà sfruttato quel singolo capo, e a come verrà abbinato al meglio con ciò che già possediamo.
Ciò permette di riscoprire l’anima delle cose, si tratti di vestiti vintage ai quali viene data nuova vita, di pezzi artigianali con gestazioni lunghe e laboriose, di prodotti etici in grado di aiutare chi li produce anziché porsi come un vettore di sfruttamento.
Il cambiamento è possibile ed è proprio partendo dalle piccole cose che si può fare la differenza.
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Annalisa Boni